Quando penso all’America, ritorno con la mente a un periodo di completa felicità. Ricordo che prima della partenza ero in fibrillazione per l’avventura che avrei intrapreso di lì a poco. Un viaggio di oltre tre settimane alla scoperta di una terra immensa, sconfinate distese erbose, città illuminate giorno e notte, culture differenti e grandi quantitativi di cibo. Era anche il mio primo volo così lungo, non sapevo come avrei reagito eppure, in quel momento, non mi importava.
Le tappe da fare erano tante; prima avrei visitato la costa orientale partendo da New York, poi quella occidentale, iniziando da San Francisco e successivamente, con l’ausilio di una macchina presa a noleggio, sarei andata a esplorare l’interno, i parchi, Las Vegas, il Grand Canyon per approdare, infine, a Los Angeles.
Luoghi, città, paesaggi e monumenti; mi sono riempita gli occhi e il cuore in quei giorni, cercando di fissarli bene nella memoria per poi ritornarci anche quando sarei giunta a casa.
Ho fotografato, assaggiato piatti, parlato un’altra lingua e immaginato di vivere in ogni posto che vedevo però, fra tanti, uno in particolare mi ha colpita e affascinata. Lo Yosemite Park è stato il primo grande parco che ho visitato una volta lasciata San Francisco, la prima tappa dell’on the road che mi ha lasciata a bocca aperta, un posto speciale in cui perdersi.
Avete presente Pocahontas? Quello era il mio cartone preferito e io, in quel momento, mi sono sentita proprio così, circondata da alberi secolari, rocce e una maestosa cascata. Ho camminato una giornata intera, con le mie sneakers e uno zainetto di Decathlon sulle spalle, i capelli intrecciati e il fiato corto senza mai avvertire la stanchezza ma sempre spinta da un senso di avventura. Ricordo che, all’ingresso del parco, c’era un cartello di legno con su scritto Yosemite Park, di fianco un grande parcheggio e un’area ristoro.
Quella mattina era iniziata molto presto a causa del fuso orario che ancora non mi faceva capire nulla perciò un latte americano lungo mi ha sorretta nell’impresa. Ero certa che quella sarebbe stata una gita speciale.
Appena entrata nel parco, ho subito percepito un’atmosfera magica, quasi sacra. Ho immaginato di tornare indietro nel tempo e di veder passare davanti a me gli indiani d’America, i Miwok – bellicosa tribù da cui si origina il nome Yosemite – vestiti di pelli e piume e con un bottino sotto braccio; li ho immaginati far ritorno alle loro tepee, portare il cibo a donne e bambini, rifocillarsi al tepore del fuoco e poi disegnare i corpi con le mani intrise di colori ocra e mattone. In marcia su uno dei percorsi sterrati, ho avuto la sensazione di essere parte integrante della natura, in un connubio di armonia e forza. Proseguendo il cammino, osservavo la bellezza di Mariposa Grove, un bosco di cinquecento sequoie giganti, i cui rami proteggevano dal sole, alcuni di essi erano riversi su un ruscello, a creare un ponte di passaggio sopra l’acqua.
In un susseguirsi di verde e rumori di sottofondo, non è raro incontrare animali selvatici e infatti ho avuto modo di osservare cervi e scoiattoli che, silenziosi, mangiavano e si lasciavano fotografare. Poi sono giunta al centro del parco, al suo cuore pulsante: una cascata che si gettava in corsa nel fiume sottostante, aprendo un varco di acqua e sassi fra i grandi alberi che quasi offuscavano il cielo. Sullo sfondo, alte montagne rocciose lasciavano intravedere un territorio vasto e ancora tutto da esplorare. Una foto obbligatoria sul ponte e poi di corsa a rifocillarmi al punto di ristoro: un classico hamburger con patatine mi hanno rimessa a nuovo prima di proseguire il percorso.
La cosa divertente è che gli scoiattoli erano davvero ovunque, passavano anche sotto i tavolini in legno, sembrava fossero davvero abituati alla presenza dell’uomo nel loro territorio ed è stato meraviglioso osservarli così da vicino. Il tempo di qualche altro scatto e poi direzione Tioga Pass, la strada panoramica che attraversa lo Yosemite e che mi avrebbe portato a raggiungere la Death Valley, dopo una notte di sosta a Mammoth Lakes.
Ciò che più mi ha impressionato, nel percorrere quei sentieri erbosi, è stata la presenza di cartelli appesi agli alberi che denunciavano la scomparsa di persone all’interno del parco e che, da ormai diversi giorni, non facevano ritorno. L’immensità di questo posto, così come gran parte dei parchi americani, è tale che le autorità perlustrano ogni giorno i sentieri, soprattutto le zone meno battute dai turisti e quindi più selvagge.
Ma questo non ha fermato me né tante, tantissime altre persone, dall’affrontare a piedi uno dei luoghi più affascinanti e incredibili della California orientale – sebbene, per girarlo a fondo servirebbero tre giorni – e proseguire poi alla volta della Death Valley. Un’esperienza indimenticabile che consiglio di fare almeno una volta nella vita perché le emozioni che scatena sono molteplici e forti.
Carola
Editor e Correttrice Bozze, Fondatrice e Redattrice de “Le Muse Letterarie” e “Ars Librorum”, ha fatto della sua passione – i libri – il proprio lavoro. Dopo essersi specializzata in Editoria e Scrittura, lavora nel campo editoriale a contatto con case editrici e autori. Ama viaggiare e ovunque vada, ha sempre un libro e un taccuino in borsa.